Massimo Giovanardi – Andrea Lucarelli (In Loco)
[for the English version see below]
Conservavo questo post per un’occasione speciale. Lo ripropongo oggi per gli amici di Goodbye Mamma, per raccontare loro come sia difficile e a volte frustrante entrare in una research community internazionale e nei suoi rituali. Un grazie ad Andrea Lucarelli, che ha scritto questo resoconto con me.
8 aprile 2011. Siamo seduti sul treno che da Oxford ci sta portando a Newcastle e stiamo cercando di riflettere sulla due giorni di conferenza organizzata dall’accademia di Marketing dal nome “Brand, Identità e Reputazione: esplorare, creare nuove realtà e nuove prospettive sull’esperienza multisensoriale” (5-7 aprile 2011). La conferenza presentava una sessione specifica dedicata al place branding nella quale, insieme a noi, vi erano altri tre autori a esporre le loro ricerche.
La sessione comprendeva cinque paper: due focalizzati su prospettive tradizionalmente turistiche, tre caratterizzati da una concezione più complessa e sfumata di place branding. Nonostante il vantaggio numerico di questo secondo gruppo, il dibattito alimentato dal pubblico ha girato intorno concetti e metodi che appartengono a un branding di tipo corporate e mainstream.
Questo stesso aspetto ha caratterizzato la conferenza nel suo insieme. Per esempio, i track dedicati al turismo (destination branding) e a temi collegati al place-branding (eventi, organizzazioni pubbliche eccetera) sono stati dominati da un tradizionale e piuttosto statico paradigma di corporate branding. Questo non è certo sorprendente se si pensa che perfino nelle chiacchierate informali durante il pranzo con editori e colleghi le specifiche caratteristiche del branding territoriale non siano state il più delle volte prese con la dovuta serietà.
Ci sentiamo delusi perchè il nostro ambito di ricerca ha tutte le potenzialità per iniettare energia fresca nella letteratura del corporate branding, così come nelle sue pratiche. Per esempio, le due sessioni finali sulla co-creazione dei significati e la brand governance – temi affrontati in maniera innovativa dal place branding – hanno dimostrato che il respiro generale della conferenza è stato davvero troppo poco ampio e non in grado di dire qualcosa di davvero interessante sul rapporto branding-società.
Interessante, tuttavia, l’intervento conclusivo del famoso consultant Wally Olins sul futuro del branding. L’ultimo e più dibattuto punto (sia da lui che dal pubblico) è stato appunto il “sense of place”. Attraverso questa etichetta Olins ha richiamato l’attenzione sui luoghi come unità di analisi fondamentali per l’implementazione di tutto il branding futuro.
Colpisce il fatto che, una volta di più, sia un consulente ad aprire la strada per la legittimazione di un nuovo e vibrante campo di ricerca all’interno del dibattito scientifico mainstream. Perchè? Siamo troppo pigri nel far avanzare il corpus teorico di questo particolare tipologia di branding? Che forse sia il sistema di produzione e validazione della conoscenza scientifica a essere un poco troppo chiuso? Oppure, semplicemente, che i “place branding scholars” debbano agire come uno degli organizzatori della conferenza ci ha suggerito, ossia “cambiate i titoli dei vostri paper”?
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Sitting on the train on our way from Oxford to Newcastle we are trying to reflect on the two-day conference organised by the Academy of Marketing titled “Brand, Identity and Reputation: Exploring, Creating New Realities and Fresh Perspectives on Multisensory Experiences” (5th-7th April). The conference featured a track on place and city branding in which we, along with other three authors, presented our research.
The track has included five papers: two papers focused on a traditional destnation branding perspective and three papers underpinned by a more nuanced understanding of place brands. Despite the numerical advantage of the latter group, the debate triggered by the audience’s questions has revolved around concepts and methods belonging to mainstream corporate and product branding.
The same aspect has been reflected by the conference in general. For example, the tracks dedicated to tourism (destination branding) and place-related issues (events, public organisations etc) were informed by a traditional and rather “static” corporate branding paradigm. This should not be surprising given the fact that even in the informal discussions during meal times with scholars and journal editors in the field of marketing, the specific characteristics of our research field have been disregarded most of the time.
We feel disappointed because our research domain has the potential to inject fresh energy into the corporate branding literature and practices. For example, the two final sessions on meaning co-creation and brand governance, issues insightfully addressed in the place branding literature, demonstrated that the traditional way of thinking permeating the conference is too limited for understanding the role of branding in society.
Interesting, however, the key note of the famous consultant Wally Olins about the future of branding. The last (and more debated both by him and the audience) point was “sense of place”. Through this label he drew the attention on places as meaningful units for the study and the implementation of the future branding.
It is striking that, once more, a practitioner seems to pave the way for the legitimation of a new vibrant research field in the maintream scientific debate. Why? Are we too lazy in advancing the theoretical unerpinning of this particular type of branding? Is the system of production and validation of the scientific knowledge a little bit too closed? Or, simply, should the place branding scholars do as one of the conferences’ organisers suggested to us, “just change the titles of the papers?