Massimo Giovanardi (In Loco)
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Sono molto affezionato a Edinburgo, la capitale della Scozia. Dieci giorni fa stavo camminando lungo Royal Mile, una delle arterie del centro cittadino, quando i miei occhi sono stati catturati dalle decine di manifesti che reclamizzavano tour dei fantasmi, viaggi in storie oscure, esperienze dal sapore Lochness e cose simili.
È innegabile che Edinburgo possieda un certo fascino anche grazie alle leggende e ai misteri del suo passato, che hanno contribuito a dar forma all’aura della città. Edinburgo, tra l’altro, non è l’unico luogo in cui viene sfruttata l’emozione della paura per aumentare il cosiddetto marketing appeal. Come ha mostrato William Neil in un interessante articolo di qualche anno fa (http://usj.sagepub.com/content/38/5-6/815.extract ), a Belfast e Detroit la paura gioca un ruolo importante nel dar forma a un’esperienza urbana unica e distintiva nello scenario globale di competizione territoriale.
Non voglio soffermarmi qui sulla mercificazione dei sentimenti e delle emozioni per scopi di marketing. Lasciando da parte le questioni etiche, vorrei semplicemente descrivere l’impressione generale che il bombardamento di questi poster promozionali ha indotto in me. Il modo ridondante e soffocante con cui queste gite nell’oltretomba erano pubblicizzate lungo le vie di Edinburgo sortisce secondo me l’effetto contrario a quello voluto dagli operatori turistici. Circondato da quella grafica banale e kitsch, ho sentito l’aura della città diradarsi, come se la sovraesposizione di quell’immaginario fosse stimolando i passanti a produrre anticorpi contro il fascino della città.
Esiste un altro modo per promuovere questi “dark trip” senza svilire l’armonia di quello che vi sta attorno? È possibile “vendere la paura” in un modo meno banale e più sostenibile, e forse anche più efficace?
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I have a great affection for Edinburgh, the capital of Scotland. Ten days ago I was walking along Royal Mile, one of the most famous streets of the city, when my eyes were caught by dozens of posters advertising “ghost tours”, “dark historical journeys”, “Lochness experiences” and so on.
Nobody could deny that Edinburgh is a fascinating city also due to these horror legends and myths, which have contributed to raising the aura of the city. By the way, Edinburgh is not the only city featuring fear as an important element of its marketing appeal. In Belfast and Detroit, as shown by William Neal in his interesting article (http://usj.sagepub.com/content/38/5-6/815.extract ), fear plays an important role in giving distinctivness to their urban experiences within the context of global interurban competition.
Here I don’t’ want to focus on the commodification of feelings for city marketing purposes. Leaving the ethics issues apart, I would just describe the impression I had by looking at all these promotional posters. The redundant and overwhelming way in which the “journeys to the grave” were presented along Edinburgh’s streets had the opposite effect on me than they were aiming to. By looking at those funny and barely charming adverts, I felt the aura of the city fading away. If you keep seeing the same thing over and over again, it soon becomes invisible.
Is there an alternative manner to promote these “dark trips” without hampering the harmony of the surroundings? Is it possible to “sell fear” in a less banal and more sustainable (and maybe effective) way?